+39 070 655824 Segreteria iscrizioni

Il ritorno

Il ritorno

di Michela Pisu - Non si può parlare del viaggio di rientro in Sardegna senza prima spendere qualche riga per la notte che lo ha preceduto.

Avevo già messo sul treno e quindi sull’aereo una prima tornata di alunni (con mamma di un’alunna al seguito). L’Istituto commerciale aveva già dato scritti e orali e se per il viaggio di andata avevo avuto loro come compagni, per il rientro avevo la squadra del Liceo linguistico. Che bisogna pur dirlo giusto per verità di cronaca: sono stati molto più tranquilli degli altri. Per questo motivo, l’ultima notte a Grosseto, pensavo di riuscire finalmente a farmi cullare tra le braccia di Morfeo. Visto che nei giorni precedenti non era stato possibile chiudere occhio per diverse tribolazioni, che non sto qui a raccontare per non tediare troppo chi ha la bontà di leggere il pezzo. Ma come spesso capita mi sbagliavo.

Cena al ristorante cinese. Non essendo un’amante della cucina orientale mi sono buttata sull’unica cosa che non mi fa venire il dubbio su ciò che ho nel piatto: il riso alla cantonese. Dopo siamo andati tutti quanti a brindare la fine degli esami e il nostro rientro a casa. Con noi c’era anche un ragazzo di Imperia, anche lui studente. Il gigante buono chiamavamo Dennis: un metro e ottanta di ragazzo, ma il suo è il tipico sguardo di un diciassette timido. E che mi ha fatto il piccolo-grande Dennis? Si è ubriacato. E quando dico ubriaco dovete immaginare un tipo che barcolla e vaneggia, ma soprattutto un tipo che va in giro con un secchio, così da poter eliminare tutto l’alcool che ha in corpo nell’unico modo che lo stomaco conosce quando lo si è fatto lavorare un po’ troppo. Dennis, in effetti, ha dormito con un recipiente (che a pensarci ora poteva essere solo il cestino della carta) per tutta la notte. 

Ero già a letto quando ricevo prima una chiamata sul mio telefonino poi dal telefono della stanza. La prima era di Jacopo e diceva: “Dennis sta male lo stiamo portando in camera”. La seconda, avvenuta qualche minuto dopo, era di Dennis stesso che con voce piuttosto impastata mi chiedeva di aiutarlo per l’indomani mattina, perchè si sarebbe dovuto svegliare presto per prendere il treno. Mi sono dunque diretta verso la stanza 305.

Lì ho trovato Massimo e Angelo che sorreggevano il moribondo, mentre quello urlava che avrebbe tanto voluto essere sardo e che tutti i sardi erano gente squisita. E con queste parole si è guadagnato la mia clemenza, ma non quella dell’emicrania che lo ha svegliato la mattina seguente.  Il tizio che alloggiava nella stanza affianco si è lamentato del chiasso, ma Angelo ha subito tagliato corto: “Ritorni nella sua stanza che non c’è niente da vedere”. E bravo Angelo, devo ammettere che mi è piaciuto.

Del resto era sabato sera e i ragazzi avevano appena terminato di dare un esame: un po’ di baldoria ritengo fosse anche giustificata. Anche se avrei preferito dormire… La notte prima del rientro è stata demenziale, ma forse anche per questo indimenticabile.  

Il convoglio per Termini più che un treno passeggeri sembrava un treno merci: eravamo tutti stipati lungo i corridoi (io ho persino perso uno dei mie braccialetti, probabilmente mentre cercavo di sollevare la valigia). I passeggeri erano talmente tanti che si sarebbe anche potuto litigare per l’aria che si respirava. Anche perché la maggior parte si erano concentrati in uno stesso vagone. Un modo semplice per non stare vicino ad un gruppo di ragazzi maleodoranti con tre grossi cani che, devo dire la verità, avevano un aspetto più pulito dei loro padroni. Ma il mondo è bello perché vario. Peccato che quando si è stanchi e in un ambiente chiuso si ha solo un piccolo desiderio: respirare un’aria il meno pesante possibile.  

L’aereo, a differenza di quello dell’andata non ha avuto un’ora e mezzo di ritardo, ma siamo stati fermi per una mezz’oretta dentro il velivolo ad aspettare che si trovassero le valigie dei passeggeri russi che, peraltro, non facevano parte del nostro volo. E quando l’aereo è fermo l’aria condizionata non funziona. Quando il capitano ci ha annunciato che avremmo dovuto attendere qualche minuto prima di salpare, ero pronta ad indossare la maschera d’ossigeno. Peccato che non ascolto mai la spiegazione delle hostess quando illustrano i modi per tentare una sopravvivenza in caso di pericolo: non ricordavo se la maschera era posta davanti al sedile o se, invece, avrei dovuto seguire la scia luminosa.

E mentre, in dormiveglia rivedevo i fotogrammi della prima puntata di Lost, l’aereo atterrava: ero a casa finalmente.  

Conclusioni. Spero che Dennis abbia occasione di leggere tra le pagine del Pirandello perché la Prof. Michy (così mi chiamava) e tutti i ragazzi che hanno alloggiato all’Hotel Nuova Grosseto lo salutano con affetto sincero. “Vieni a trovarci presto Dennis”. Per quanto riguarda i miei giovani studenti spero possano raccontare di essersi divertiti nonostante l’ansia naturale dell’esame.

E per quanto riguarda me dico: “Che stress è stato”.

Però uno stress di cui non mi pento.  Ai prossimi esami!

Back to Top