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La droga, nelle parole degli esperti

La droga, nelle parole degli esperti

Parole stupefacenti…

albo signanda lapillo  (giornata memorabile n.d.r.)

di Michela Pisu  

Parole stupefacenti … in realtà ciò che è stato detto lunedì mattina presso l’Exmà, a Cagliari durante il seminario organizzato dalla scuola “Luigi Pirandello” in merito alle droghe, non ha stupefatto nessuno, perché purtroppo il fenomeno delle tossicodipendenze è tristemente noto da secoli. Non che si sia detto oramai tutto. Anzi. Tuttavia le parole che si spendono cambiano solo i nomi, ma i risultati sono sempre gli stessi: vite bruciate. Bruciate dall’alcool, dall’erba, dagli allucinogeni, senza rendersi conto che quando si bruciano troppi neuroni ciò che resta è solo la cenere. 

Negli ultimi anni l’uso di sostanze stupefacenti è cresciuto, o forse si dovrebbe dire è cambiato nel senso che se un tempo il cosiddetto “droghino” era colui che si bucava ai margini di una strada, una sorta di reietto di una società davvero poco edificante, oggi i ragazzi (ma non solo loro) si ritrovano nelle migliori delle ipotesi nei muretti a fumare marijuana o hashish, nella peggiore delle eventualità nei locali a scambiarsi pasticche di allucinogeni, o farsi una ‘barella’ di coca. E loro non sono degli emarginati: gli amanti di “Maria” o di “Antonella” sono dei veri fighi perché se bucarsi è da droghino che si prenderà prima o poi l’Aids, sniffare è per gente tosta. Allora a che servono le prediche, i consigli, e persino i seminari, davanti ad una platea che sostiene di saperne già abbastanza per avere voglia di ascoltare?  

“Alcuni problemi sociali sono enormemente complessi. Non ammettono semplificazioni. La droga è uno di questi”, recitaVincenzo Di Dino, giornalista e esponente del Movimento federalista europeo, riprendendo un articolo di Luigi Caramiello apparso nel  Corriere del Mezzogiorno l’ottobre scorso intitolato ‘Liberalizzazione che non libera’. E come è stato scritto da Gianni Riotta sul Corriere della Sera qualche anno fa: “ La battaglia alla tossicodipendenza sarà uno dei grandi scontri del prossimo secolo, come le Guerre dell'oppio tra cinesi e occidentali lo furono nel passato. Vittorie sicure non ce ne sono, nessuno ha in tasca la soluzione perfetta. I risultati saranno acquisiti poco per volta, con tenacia e fortuna, con un impegno comune di Stato, comunità, famiglia e scuola e un coordinamento internazionale, magari sotto l’egida dell’Onu”. Insomma, nessuna panacea e Di Dino, durante il suo intervento ha voluto mettere in luce che, effettivamente, tutto ciò che si può fare è prevenire piuttosto che curare. “L’unione europea – sostiene –  può dare delle direttive, ma non delle soluzioni che pongano la parola fine a questo grave problema”. “Ci si muove per piani quinquennali – spiega – , e soprattutto monitorare costantemente la situazione del mercato della droga, con un occhio di riguardo verso tutti quei Paesi che esportano grandi quantità di sostanze stupefacenti”. Perché una cosa va detta: dietro lo spaccio ci sono dei veri e propri monopoli. “Da tempo, importanti politici e pensatori ritengono invece che la soluzione sia la drammatica, e unilaterale, liberalizzazione del mercato. Disarmare le mafie mondiali, trasformando in legale il mercato nero. E da secoli prima del mercato mafioso – recita ancora l’articolo di Caramiello – . Perché? Perché tanti hanno qualche buon motivo per lenire insoddisfazioni, per desiderare l’oblio, per sperimentare «paradisi artificiali ». Ma la comunità organizzata, tradizionale e moderna, impone comportamenti disciplinati e responsabili, può sopportare solo un certo grado di devianza, pena il suo disfacimento. La società, insomma, ha bisogno di limitare, di «contenere» il consumo di droga (eliminarlo è impossibile) e, quindi, deve stabilire, persino «arbitrariamente », quale droga è lecita, quale non lo è. La nostra tradizione impiega, da millenni, svariate droghe, divenute «legali », per consuetudine, per cultura: gli alcolici, il vino, la birra. E, da cinque secoli, il tabacco, un farmaco essenziale, per «curare » stress, angoscia, insicurezza quotidiana. Sono medicine che, come talvolta accade, possono far molto male. La loro altissima diffusione ci mostra, assai bene, quanto possa espandersi il consumo di una droga, quando è legale. Epatiti croniche, cirrosi, bronchiti, enfisema, cancro ai polmoni. I danni di tabacco e alcolici sono fino a 100 volte più gravi di quelli prodotti da tutte le «droghe» messe insieme. Sono «costi» che la comunità finisce per accollarsi. Soprattutto quando una società, come la nostra, diversamente dagli Usa, ha un sistema sanitario «universale», di cui va giustamente fiera. Dobbiamo finirla di essere ipocriti: la droga fa male. Anche quella «leggera», che può produrre consumatori molto «pesanti», soprattutto la nuova «erba » potenziata geneticamente”. 

Ed è proprio su questo punto che il professor Gianluigi Gessa raccoglie il guanto lanciato da Di Dino. “Non ci sono droghe leggere e droghe pesanti – annuncia – , ma solo un uso pesante o un uso leggero. Se dobbiamo fare una classificazione allora dobbiamo dire che esistono droghe naturali e droghe cosiddette d’autore. Le droghe naturali sono la nicotina, l’alcool, la tetraidrocannibonolo (thc), la morfina che proviene dall’oppio, e la cocaina. Poi l’uomo ha voluto doppare queste sostanze e a creato le anfetamine, ossia un estratto della cocaina, le pasticche di ecstasy, l’eroina che niente altro non è che un estratto della morfina. Persino il valium è un esperimento di laboratorio, e si ottiene dall’alcool”. “In questa lista – spiega il professore – preferirei non includere LSD tra le droghe propriamente dette, perché non da dipendenza a differenza di tutte le altre sostanze stupefacenti”. Ma Gessa non dimentica di ricordare che anche il nostro corpo produce una buona quantità di “energizzanti”. “Il nostro cervello produce delle sostanze che possiamo definire droganti, come la dopamina o l’endorfina, una sostanza chimica di natura organica prodotta dal cervello, dotata di proprietà analgesiche e fisiologiche simili a quelle della morfina e dell’oppio. Cosa accade quando il nostro corpo assume altro genere di sostanze come dire energizzanti? Accade che, essendo queste più potenti di quelle che il nostro cervello è in grado di stimolare, sostituiscono quelle fisiologiche. Con una differenza molto forte: l’endorfina è prodotta costantemente dal nostro cervello, la morfina ce la dobbiamo procurare. Questo si chiama dipendenza”. La dipendenza dalle droghe è dovuta al fatto che il consumatore, per sentire gli effetti provati la prima volta, deve usare dosi sempre più abbondanti e sempre più di frequente: così diventa tossicodipendente. Ci sono due tipi di dipendenza: fisica e psichica. È fisica quando l’organismo non riesce più a funzionare senza la sostanza esterna alla quale si è adattato, e qualora non si risponde al bisogno si cade in astinenza. La dipendenza psichica rimane anche dopo la disintossicazione del drogato, ed è molto più difficile da curare e da tenere sottocontrollo.  

Questo è uno dei numerosi problemi presentati dai ragazzi che chiedono aiuto a Padre Salvatore Morittu. Mondo X è una piccola oasi nel deserto della tossicodipendenza, un luogo dove – spiega Padre Morittu – possiamo vantare una buona percentuale di recuperati”. Il 32 per cento dei giovani che decidono di farsi aiutare all’interno delle due comunità (le sedi sono a Cagliari e a Sassari) possono dire di aver ripreso a vivere in modo sano e normale. “Anche se il recupero è sempre più facile rispetto al mantenimento, una volta usciti dalla comunità, dello stato di benessere”, ha evidenziato Padre Morittu. “La presenza dei tossicodipendenti cambiano la qualità della vita, perché direttamente o indirettamente il fenomeno della droga ci colpisce tutti. Perché non si cada in questo tunnel è necessario che dentro di noi cresca la fiducia in se stessi. Nella vita ci sono tre pellegrinaggi: andare da te verso l’altro, da te verso Dio, e l’ultimo e più difficile, da te verso te stesso”. “La cura? – chiede in modo retorico Padre Morittu – è la cultura. Ma non la cultura propriamente detta, bensì la conoscenza della vita, la curiosità. I nostri ragazzi devono trovare la capacità di amarsi e ricercare la piacevolezza che da loro la droga, in altre attività. Di solito chi cade nella trappola della tossicodipendenza sono coloro che hanno problemi di affettività, intesa come sessualità, intimità, innamoramento e amore”. Padre Morittu conclude la sua arringa con un proverbio africano: se vuoi rendere feconda la tua terra, attacca l’aratro ad una stella”.  

Incisivo l’intervento del giornalista Antonello Lai. Poche le sue parole, Lai ha preferito far parlare un video in cui si intervistavano alcuni gestori dei coffee shop olandesi. “Fumare rende felici”, diceva la ragazza del video. Intorno un gruppo di ragazzi che, con in mano un porro, bevevano coca-cola perché in questi locali l’alcool è bandito accanto al telefonino: un cartello sul muro diceva che il trillo era inopportuno. Negli ultimi fotogrammi un ragazzo di età indefinibile che raccontava la sua esperienza di tossicodipendente: “Rubavo per bucarmi – riferiva – poi mi sono ricordato di avere una figlia e mi sono imposto di smettere. Volete un consiglio? fumate ma non drogatevi!”. Per la serie est modus in rebus (c’è misura in ogni cosa).  

I quattro relatori sono stati esaustivi e pazienti, sono riusciti in poche ore a raccontare, attraverso le loro esperienze professionali, cosa sono le droghe e cosa significa vivere in una società dove la tossicodipendenza è una realtà che, direttamente o indirettamente, tutti tocchiamo con mano. La domanda però che personalmente mi sono posta è se il messaggio è stato recapitato dai ragazzi. Nelle domande che ci poniamo spesso ci sono già le risposte, e se non si conosce è difficile poterci porre dei quesiti. “So già tutto quello che stanno dicendo questi signori”. Questa frase è stato una eco fin troppo diffusa tra il giovane uditorio. Sboroni? Sicuramente. Esperti? Forse. Non c’era curiosità nei loro occhi, né interesse nel conoscere i danni che le droghe (leggere, pesanti… differenza che personalmente trovo ipocrita) possono provocare al nostro organismo, come se tutti quei discorsi fossero talmente lontani da non poterli toccare. Un’immunità che, voglio sperare, dipenda dal fatto che ad essere lontane da loro siano le droghe. Nella ricerca di me stessa ho capito di essere solo un fenomeno in un mondo altrettanto fenomenico, ma ho sempre cercato di non essere un fenomeno da baraccone. Non è l’uso di sostanze stupefacenti che ci da la conoscenza delle droghe, quella si chiama idiozia. Piuttosto conoscere approfonditamente il nemico ci aiuta ad evitarlo, o a sconfiggerlo.

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